di Laura Ripani
TORTORETO | L’assessore al turismo e alla cultura dell’ente tortoretano interviene sul caso della festa delle “virtù” che ha generato polemiche. «A seguito delle polemiche sulla festa in oggetto e delle considerazioni del sindaco Generoso Monti, mi preme comunicare la mia posizione affinchè venga in evidenza. Non abbiamo fatto alcun ratto, nè bistrattato un piatto riducendolo a minestrone. La festa della virtù nasce con l'intento di far conoscere e valorizzare un piatto tipico della nostra provincia nella costa teramana, ove confluiscono turisti e soggiornanti al fine di godere del primo sole e mare. Infatti non si tratta semplicisticamente e riduttivamente di una sagra ma di un momento volto proprio a divulgare l'origine di questo piatto, l'appartenenza territoriale e le proprietà nutrizionali dello stesso attraverso gli alimenti che rigorosamente lo contraddistinguono. Sul tavolo dei relatori la dietista Gilda D'Angelo, il medico chirurgo Pietro Campanaro, nutrizionista e specialista in scienze alimentare, nonché Raffaele Grilli, presidente dello Slow Food. Tutto questo a riprova dell'alto valore riconosciuto ad una pietanza che non si vuole affatto sminuire ma diffondere nella sua pienezza di storia e contenuto. Un piatto, peraltro, già molto diffuso in tutti i ristoranti del litorale teramano. Un evento che non vuole essere contrapposizione con la città ma anche provincia di provenienza, ma segno della continuità di un territorio nel congiunto sforzo di portare in auge l'enogastronomia che ci contraddistingue in maniera sinergica e complementare» ha dichiarato in una nota Alessandra Lucia Richi.
Le virtù sono un piatto tipico teramano dalla storia controversa di cui molti paesi rivendicano la primogenitura ma le cui origini romane sembrano incontestabili e riconosciute dallo stesso Giuseppe Savini primo a studiare in modo sistematico le tradizioni e il folklore della provincia di Teramo. Si tratta di un cibo molto antico che rispetta rigorosamente "le scadenze calendariali e i ritmi stagionali", scrive Giuseppe Di Domenicantonio in un suo studio, un cibo che se ormai è ufficialmente "adottato" come proprio dal popolo teramano, si ritrova, sia pure con altre denominazioni e caratterizzato da numerose varianti, in molti paesi d'Abruzzo. Si dice che in passato le Virtù venivano prodotte dall'intera comunità che le distribuiva agli indigenti. In effetti tale usanza sembra permanere nell'abitudine a cucinare le Virtù in grande abbondanza e ad offrirle in omaggio ai vicini, alle persone care e anche a semplici e occasionali conoscenti. In tutti i casi le Virtù appaiono legate all'incerta esistenza dei contadini che al termine dell'inverno vuotavano le madie e le ripulivano da tutti gli avanzi. Ai legumi secchi, così raccolti, si univano gli ingredienti freschi che già la nuova stagione aveva iniziato a produrre in abbondanza. Tale credenza tuttavia per quanto molto nota non è molto seguita nella pratica e gli ingredienti in realtà sono sempre in numero maggiore. Resta il fatto che il sapore deve nascere dalla realizzazione di una perfetta miscela nella quale nessun ingrediente deve emergere. Secondo Savini le Virtù venivano un tempo chiamate anche "li zocche" o "cucine" ma si tratta di espressioni ormai non più in uso.
Sabato 27 aprile 2013
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