di Laura Ripani
TORTORETO | «La strategia energetica nazionale è doppiamente illegittima» lo dichiara in una nota il Comitato Abruzzese Difesa Beni Comuni e il Coordinamento Nazionale No Triv. «Ad affermarlo non sono soltanto le associazioni ecologiste che i “falchi” di Confindustria bollano con l’epiteto qualunquista de “Il Partito del NO” bensì la Camera dei Deputati ed il giurista Enzo Di Salvatore». Poi il Comitato spiega: «E ciò per una serie di accadimenti: l'articolo 7 del decreto-legge n. 112/2008 introduce nell'ordinamento l'istituto della "Strategia energetica nazionale" il cui principale elemento di novità era costituito dal rilancio del nucleare; il successivo decreto-legge “Omnibus” n. 34/2011 riformula l'istituto della "Strategia energetica" omettendo qualsiasi riferimento al nucleare, anche a seguito delle note vicende di Fukushima, ma questa nuova versione della SEN viene abrogata dal referendum del 12 e 13 giugno 2011».
Secondo il Comitato Abruzzese Difesa Beni Comuni, nell’ordinamento italiano manca una qualsiasi norma primaria che si occupi della Sen. Quindi, secondo loro, la SEN è illegittima. «Anche se per motivazioni diverse da quelle richiamate dal sito web della Camera, la ricostruzione fatta dal professore Enzo Di Salvatore porta alla medesima conclusione (http://caffedabruzzo.blogspot.it/). Seguendo il filo logico del giurista abruzzese: la legge n. 75/2011, di conversione del decreto-legge n. 34/2011, ha aggiunto alcuni emendamenti all'art. 5 del decreto-legge: i commi che vanno da 3 a 8; il comma 8 dell'art. 5 stabiliva: "Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell’Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali"; il referendum del 12 e 13 giugno ha abrogato i commi 1 e 8 del decreto-legge, come convertito in legge. Dunque con ciò è stato abrogato il fondamento legislativo che autorizzava il Governo ad adottare la Sen; la Sen, tuttavia, è stata riproposta surrettiziamente in un decreto legislativo che il Governo ha adottato il 1 giugno 2011 (n. 93/2011)»
«L'art. 1, comma 2, del decreto legislativo infatti recita: "Il Ministero dello sviluppo economico, previa consultazione delle Regioni e delle parti interessate, definisce entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in coerenza con gli obiettivi della strategia energetica nazionale di cui all'articolo 3, gli scenari decennali relativi allo sviluppo del mercato del gas naturale e del mercato dell'energia elettrica, comprensivi delle previsioni sull'andamento della domanda suddivisa nei vari settori, della necessità di potenziamento delle infrastrutture di produzione, importazione, trasporto, nonché, per il gas naturale, dello stoccaggio, eventualmente individuando gli opportuni interventi al fine di sviluppare la concorrenza e di migliorare la sicurezza del sistema del gas naturale. Tali scenari e previsioni sono articolati, ove possibile, per Regione. Gli scenari sono aggiornati con cadenza biennale e sono predisposti previa consultazione delle parti interessate". Il punto di snodo è dunque l’art. 3 del D. Lvo n. 93 del 1 giugno 2011, che prevede piani di singoli settori dell'energia (gas, elettricità, rinnovabili, efficienza energetica, escluso il nucleare) e delle relative infrastrutture ma che, al contrario della SEN approvata l’8 marzo scorso (pag. 111 ss.), nulla dice in materia di rilancio della filiera nazionale degli idrocarburi».
«Tra l’autorizzazione contenuta nella legge delega e quanto previsto nella SEN non c’è corrispondenza. Il Governo ha dunque ecceduto la delega per la parte in cui ha previsto nella S.E.N. tutta una serie di misure atte al rilancio delle attività di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi nel nostro Paese. Tra queste anche “…. il rafforzamento dei poli tecnologici e industriali: la produzione di idrocarburi ha portato alla nascita di distretti energetici in Emilia Romagna, Lombardia, Abruzzo, Basilicata e Sicilia, che potrebbero essere rilanciati coerentemente con l’ulteriore sviluppo delle attività minerarie” e l’elezione a vittime sacrificali delle popolazioni residenti nelle 5 zone che offrono un elevato potenziale di sviluppo dell’up stream “made in Italy”: la Val Padana, l’Alto Adriatico, l’Abruzzo, la Basilicata ed il Canale di Sicilia. Questi dunque i tanti “perché” dell’illegittimità della SEN e della necessità di un nuovo intervento legislativo del Parlamento. Diversamente, non appena la strategia dovesse tradursi concretamente nell'adozione di atti amministrativi, questi potranno essere impugnati davanti al TAR e si potrà quindi chiedere al giudice amministrativo di sospendere il giudizio e di rimettere la questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale affinché censuri il decreto legislativo del Governo per aver violato la delega del Parlamento».
Mercoledì 17 aprile 2013
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